Giovanni MARRA, “Alla sorgente zampillante”. Per rinnovare la parrocchia. Orientamenti pastorali per gli anni 2003-2006

1. Il mio cuore è colmo di gratitudine e di attese per l’arricchente esperienza della Visita Pastorale, che mi conduce in mezzo a voi “ Con Gesù Buon Pastore per portare speranza ”.

Guardo e visito ogni comunità ecclesiale con il proposito di te­stimoniare la carità di Cristo verso il suo Gregge, per rinsaldare i vincoli di comunione, per incoraggiare e confermare l’impegno nell’evangelizzazione che rimane priorità pastorale degli anni a venire, per verificare in quale misura sono recepiti e attuati gli insegnamenti del Concilio Vaticano II.

Riprendiamo il cammino

2. Il cammino triennale “Sui sentieri della spe­ranza” e la Visita Pastorale nei primi quattro Vicariati dell’Arcidiocesi hanno dato modo di cogliere segnali inco­raggianti nelle nostre comunità: segni di notevole crescita nella consapevolezza e nella corresponsabilità eccle­siale testimonianze di grande generosità, spesso radicata nell’offerta e nel sacrificio silenzioso; crescente richiesta di aiuto per maturare nell’esperienza delle fede. Non possiamo però ritenerci soddisfatti, né vogliamo nascon­derci le difficoltà. Percepiamo, infatti, motivi di grandi perplessità e preoccupazioni pastorali, in conseguenza di trasformazioni via via più estese, più profonde e più difficili da decifrare e affrontare

3 . contesti culturali attuali offrono, da una parte, possibilità insospettate e spazi straordinari di apertura ai valori umanizzanti del Vangelo e, dall’altra, visioni e stili di vita che tendono a svuotare l’essenza stessa delle fede, riducendola a vago senso religioso, o a forme di soggettivismo e talvolta di magia. Nella realtà complessa e non sempre facilmente deci­frabile dei nostri giorni vanno emergendo quanti si dichiarano “senza religione”, l’analfabetismo religioso, l’eclisse del senso morale, le varie forme di relativismo e di indifferenza riguardo alle domande più profonde dell’animo umano, la drammatica difficoltà a comunicare la fede.

La questione è molto seria. È chiamata in causa l’esperienza della fede stessa nella sua globalità, nel suo significato più pro­fondo, nelle sue ricadute esistenziali.

Si chiede ai cristiani di riscoprire e di saper motivare il senso del loro ritrovarsi in comunità, del porsi in fedele ascolto della Parola di Dio, del pensare e comunicare la fede, del celebrare i sacramenti, dell’impegnare tempo ed energie in progetti di carità.

La mentalità del mondo in cui viviamo può permeare i cristiani e l’incredulità è tentazione che attraversa il loro cuore. È fondamentale, dunque, saper discernere potenzialità e rischi presenti anche nella nostra esistenza

Per rinnovare la parrocchia

4 . Grandi e radicali trasformazioni hanno toccato le fondamenta della vita cristiana, dell’essere e dell’agire eccle­siale, e obbligano a dirigere il nostro sguardo alla parrocchia, luogo ordinario e privi­legiato di evangelizzazione. Per queste ra­gioni, nel triennio 2003-2006, la parrocchia, la pastorale parrocchiale, starà ancora una volta al centro del nostro pensare, progettare, agire pastorale.

Non significa però fare una scelta restrittiva che giustifichi esclusioni, svalutazioni, privilegi. Abbiamo sempre coralmente manifestato che tutti, ognuno per la propria parte, operiamo e preghiamo, affinché si realizzi il dono sorprendente della Comunione, che apre vie autentiche per accogliere persone ed eventi, carismi e ministeri, apporti e progetti di bene da qualsiasi parte provengano.

Porre la parrocchia al centro dell’agire pastorale non vuol dire nemmeno fermarsi a ripetere le linee pastorali “A partire dalla parrocchia”. L’esperienza matu­rata in questi anni, gli approfondimenti della riflessione pasto­rale  e le indicazioni del Magistero ci dicono che possiamo e dobbiamo fare molto di più.

La scelta della Parrocchia ci pone in profonda sintonia con le diocesi italiane, le quali sono impegnate a recuperare la centralità della Parrocchia, per farle ritrovare nuovo vigore missionario da investire soprattutto in questi ambiti: “Comunità eucaristica”; “ Battezzati non praticanti” ; attenzione al territorio

Sullo stile di Gesù Cristo

5 . Quali processi rimotivare o innescare perché la parrocchia ritrovi nuova vitalità? Dove condurre la parrocchia per­ché la sua presenza abbia senso oggi e domani?

L’esperienza sospinge e la riflessione conferma alcune scelte prioritarie: la formazione degli operatori pastorali; il coinvolgimento del Lai­cato; la ri-evangelizzazione dei battezzati; la presenza significativa e competente nel territorio; la comunicazione basata sulla qua­lità delle relazioni umane; la riqualificazione e riorganizzazione delle risorse pastorali sul territorio.

Queste mete non sono raggiungibili soltanto ritoc­cando l’esistente o riorganizzando l’assetto organizza­tivo. Esigono che si riscoprano e potenzino le fondamenta. Bisogna ripartire da Cristo per rin­novare la Parrocchia . Ripartire dalla Parrocchia per rievange­lizzare il territorio.

 “La Chiesa può affrontare il compito dell’evangelizzazione solo ponendosi, anzitutto e sempre, di fronte a Gesù Cristo, parola di Dio fatta carne.

Solo il continuo e rinnovato ascolto del Verbo della vita, solo la contemplazione costante del suo volto  permetteranno ancora una volta alla Chiesa di comprendere chi è il Dio vivo e vero, ma anche chi è l’uomo.

Solo seguendo l’itinerario della missione dell’Inviato… sarà possibile per la Chiesa assumere uno stile missionario con­forme a quello del Servo, di cui essa stessa è serva”.

“Soltanto lasciandoci conformare a Cristo, fino ad assu­mere il suo stesso sentire , potremo predicare Gesù Cristo e non noi stessi. L’Evangelizzazione può avvenire solo seguendo lo stile del Signore Gesù , il primo e più grande evangelizza­tore”

6 . La Parrocchia, dunque, è chiamata a ripensare se stessa rispecchiandosi in Cristo Gesù, a rinnovarsi, assimilando il pensiero del suo Maestro, a rige­nerarsi spendendosi sullo stile del suo Signore.

Animati da questo convincimento abbiamo scelto la pagina evangelica dell’ incontro tra Gesù e la Samaritana (Giovanni 4,1-42) come icona del cammino pastorale che ogni parrocchia e ogni realtà ecclesiale della nostra Arcidio­cesi è chiamata a percorrere nel triennio 2003-2006.

Senza perdere di vista la dinamica unitaria e graduale del cammino proposto nel triennio, ogni anno ci proponiamo di evidenziare un aspetto particolare.

Nell’anno 2003-2004 , i nostri occhi saranno rivolti particolarmente “ Al pozzo di Giacobbe in terra di Samaria ”. La prospettiva missionaria è chiave del rinnovamento pastorale. Come devono porsi e cosa devono fare i cristiani nella “terra di Samaria” di oggi? Cosa occorre per giungere e sostare al “pozzo” della Famiglia?

Nell’anno 2004-2005 , contempleremo “Dammi da bere ed io ti offrirò l’Acqua via” L’esperienza della fede e di formazione come laboratori del rinnovamento pastorale.

Come viene accolta e vissuta l’esperienza della fede (“Acqua viva”) nelle nostre comunità? Da chi e come è proposta questa a quanti ritornano in comunità? Quale formazione per saper giungere e sostare al pozzo delle nuove generazioni?

Nell’anno 2005-2006 , considereremo “La brocca al pozzo per ritornare in città” . Presenze di servizio e di evangelizzazione nel territorio come vie del rinnovamento.

Quali forme di presenza nell’ambiente da parte della comunità ecclesiale? Come riorganizzare e riqualificare le forze ministeriali per un più efficace servizio pastorale? Come realizzare il primo annunzio della Salvezza?

Quando il Signore venne a sapere che i farisei avevan sentito dire: Gesù fa più discepoli e battezza più di Giovanni  sebbene non fosse Gesù in persona che battezzava, ma i suoi discepoli -,lasciò la Giudea e si diresse di nuovo verso la Galilea. Doveva perciò attraversare la Samaria.

Giunse pertanto ad una città della Samaria chiamata Sicàr, vicina al terreno che Giacobbe aveva dato a Giuseppe suo figlio: qui c’era il pozzo di Giacobbe . Gesù dunque, stanco del viaggio, sedeva presso il pozzo. Era verso mezzogiorno.

Arrivò intanto una donna di Samaria ad attingere acqua. Le disse Gesù: «Dammi da bere». I suoi discepoli infatti erano andati in città a far provvista di cibi. 9 Ma la Samaritana gli disse: «Come mai tu, che sei Giudeo, chiedi da bere a me, che sono una donna samaritana?». I Giudei infatti non mantengono buone relazioni con i Samaritani. Gesù le rispose: «Se tu conoscessi il dono di Dio e chi è colui che ti dice: “Dammi da bere!”, tu stessa gliene avresti chiesto ed egli ti avrebbe dato acqua viva». Gli disse la donna: «Signore, tu non hai un mezzo per attingere e il pozzo è profondo; da dove hai dunque quest’acqua viva? Sei tu forse più grande del nostro padre Giacobbe, che ci diede questo pozzo e ne bevve lui con i suoi figli e il suo gregge?». Rispose Gesù: «Chiunque beve di quest’acqua avrà di nuovo sete; ma chi beve dell’acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l’acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna». «Signore, gli disse la donna, dammi di quest’acqua, perché non abbia più sete e non continui a venire qui ad attingere acqua».

Le disse: «Va’ a chiamare tuo marito e poi ritorna qui». Rispose la donna: «Non ho marito». Le disse Gesù: «Hai detto bene “non ho marito”; infatti hai avuto cinque mariti e quello che hai ora non è tuo marito; in questo hai detto il vero».

Gli replicò la donna: «Signore, vedo che tu sei un profeta. I nostri padri hanno adorato Dio sopra questo monte e voi dite che è Gerusalemme il luogo in cui bisogna adorare». Gesù le disse: «Credimi, donna, è giunto il momento in cui né su questo monte, né in Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate quel che non conoscete, noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; perché il Padre cerca tali adoratori. Dio è spirito, e quelli che lo adorano devono adorarlo in spirito e verità». Gli rispose la donna: «So che deve venire il Messia (cioè il Cristo): quando egli verrà, ci annunzierà ogni cosa». Le disse Gesù: «Sono io, che ti parlo».

In quel momento giunsero i suoi discepoli e si meravigliarono che stesse a discorrere con una donna. Nessuno tuttavia gli disse: «Che desideri?», o: «Perché parli con lei?».

La donna intanto lasciò la brocca, andò in città e disse alla gente: «Venite a vedere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?». Uscirono allora dalla città e andavano da lui.

Intanto i discepoli lo pregavano: «Rabbì, mangia». Ma egli rispose: «Ho da mangiare un cibo che voi non conoscete». E i discepoli si domandavano l’un l’altro: «Qualcuno forse gli ha portato da mangiare?». Gesù disse loro: «Mio cibo è fare la volontà di colui che mi ha mandato e compiere la sua opera. Non dite voi: Ci sono ancora quattro mesi e poi viene la mietitura? Ecco, io vi dico: Levate i vostri occhi e guardate i campi che già biondeggiano per la mietitura. E chi miete riceve salario e raccoglie frutto per la vita eterna, perché ne goda insieme chi semina e chi miete. o vi ho mandati a mietere ciò che voi non avete lavorato; altri hanno lavorato e voi siete subentrati nel loro lavoro».

Molti Samaritani di quella città credettero in lui per le parole della donna che dichiarava: «Mi ha detto tutto quello che ho fatto». E quando i Samaritani giunsero da lui, lo pregarono di fermarsi con loro ed egli vi rimase due giorni. Molti di più credettero per la sua parola e dicevano alla donna: «Non è più per la tua parola che noi crediamo; ma perché noi stessi abbiamo udito e sappiamo che questi è veramente il salvatore del mondo».

Al pozzo di Giacobbe in terra di Samaria. La prospettiva missionaria come chiave del rinnovamento

7 .  Gesù lascia la Giudea e si incammina verso la Galilea. “ doveva attraversare la Samaria ” (v. 4).

Per un ebreo questa non era una regione ambita. Attraversarla non era scelta facile né piace­vole. Gesù la “deve” percorrere, non  tanto perché rientra nell’itinerario abituale, ma perché qui la sua presenza è necessaria. Su questa strada egli “deve” compiere la  volontà di Colui che l’ha mandato (v. 34). Deve incontrare anche i Samaritani, nella quotidia­nità della loro vita e nella loro terra.

Gesù si presenta senza titoli, né potere, né prerogative. È affaticato e assetato per il viaggio sotto il sole (v. 6). Piena­mente umano e fragile, per quella “carne” che ha voluto as­sumere (Gv 1,14).

Si siede presso il pozzo di Giacobbe, al quale si sono dissetate generazioni e generazioni.

A questa sorgente è giunto Colui che può dichiararla insufficiente e superata. Gesù non solo ha preso posto presso di essa, ma ne prende il posto. Egli è datore di un’Acqua che nel credente diviene sor­gente zam­pillante per la vita eterna (v. 14).

Così il nostro sguardo passa da Giacobbe a Cristo, dall’Antico al Nuovo Testamento, dalla Legge alla Parola.

E’ mezzogiorno , l’ora sesta, ora pesante e difficile. Gesù siede e attende “qui” per un appun­tamento che non viene di­satteso.

8 . La scelta di Gesù ci ricolloca sulla strada, per proseguire “Sui sentieri della speranza” , ci riconsegna il mandato di servizio nei confronti di questo mondo, ci pone dinanzi orizzonti nuovi.

Così che “ il pozzo di Giacobbe in terra di Samaria” è un’interessante chiave di lettura e una luminosa prospettiva del nostro essere ed agire ecclesiale.

9 . “Il pozzo di Giacobbe in Samaria” è la vita quotidiana in tutti i suoi aspetti, di gioia e di dolore, di ricerca e di fallimento, di benessere e di povertà. È la cultura con le diverse e molteplici visioni di vita, con le sue aperture al Trascendente, ma anche con le sue chiusure o involuzioni magiche, superstiziose, integraliste.

“Samaria” è la politica, l’economia, il mercato che con le sue logiche grava su ogni aspetto della vita sociale, personale e familiare. È il mondo del lavoro e dell’emarginazione, dei giovani e degli anziani, della sofferenza e dello svago, dell’e­migrazione e della diversità.

“Samaria” sono le Istituzioni con le loro complicate mac­chine organizzative, difficili da conoscere e da utilizzare, sono i sempre più sofisticati mezzi di comunicazione sociale. “Samaria” sono pure tanti quar­tieri, tante strade e angoli della nostra città.

“Samaria” esprime la vita di ogni giorno che tutti inchioda nel suo realismo e dalla quale nessuno, neanche (e soprattutto) il credente, può desiderare o tentare di uscirne.

10. “Il pozzo di Giacobbe in Samaria”è la chiave di lettura dell’agire di Dio , in partico­lare dell’evento straordinario della fede cristiana: il mistero dell’amore del Padre che ama tanto questo mondo da do­narci suo Figlio; il mistero del Figlio di Dio che “si è fatto carne” e ha donato la pienezza del suo Amore come vita del mondo.

Colpisce questo Figlio di Dio, viandante, stanco, assetato seduto presso il pozzo dei samaritani ad un’ora molto insolita. Quest’ora “strana” si rivela un appuntamento sorprendente e provvidenziale, che rimanda ad altri incontri decisivi nei quali Gesù è presente e agisce.

È l’ora sesta quando Cristo è rifiutato, condanna, consegnato (Gv 19,14). È L’ora nella quale entra in crisi e viene demolita ogni sicurezza umana, mentre misteriosamente si fa strada l’opera di Dio, che squarcia le tenebre, irrompe nel silenzio e ricrea novità di vita.

11. “Il pozzo di Giacobbe in Samaria” è la via dell’agire della chiesa. I discepoli di Gesù “devono attraversare la Samaria” per vocazione e per dovere di fedeltà al mandato ricevuto dal Maestro. Giungono alla fede non per chiudersi negli ambito del sacro, ma per “prendere il largo”, per  entrare nella vita quotidiana.

Andare alla sorgente esprime generalmente il dinamismo dell’uscire di casa mossi da un bisogno fondamen­tale, del raggiungere un luogo mai banale, del con­vergere verso una meta dalla quale si è attratti, del ripartire carichi di un’esperienza.

Sedersi al pozzo segna lo stile missionario, che nasce dalla decisione coraggiosa di raggiungere gli altri là dove si ritro­vano, dibattono, investono tempo e risorse. Incontrarli nella loro cultura, nel tempo più opportuno e nel linguaggio per essi più familiare, nei problemi concreti che segnano la loro esi­stenza.

I cristiani at­traversano la “terra di Samaria” investendovi la loro fede e il meglio di sé, sullo stile del pellegrino : stanco, assetato, debole. Si ritrovano bisognosi e deboli accanto ad ogni altro uomo nella ricerca di risposte ai problemi della quotidianità e speri­mentano la necessità di “chiedere” persino a colui che ritengono straniero o avversario nella fede e nella morale.

La testimonianza vissuta nella ferialità rimane la comunica­zione più efficace che fa sorgere domande, interesse, desiderio di incontrare personalmente Colui che arricchisce di umanità e di responsabilità storica quanti cre­dono il Lui

12. “Il pozzo di Giacobbe in Samaria” è provocazione per una serena verifica. Ripensare i nostri modi di vedere, conoscere, accostare, abi­tare, coltivare questa “terra di Samaria” è scelta opportuna e salutare.

Gioiamo nell’osservare comunità accoglienti e festanti nell’esprimere esuberanza di ministerialità, di iniziative e di strutture. Rimaniamo ammirati dinanzi alla loro semplicità nel mostrare dignitosa povertà che non fa mistero di carenze di presenze, risorse e risultati.

Ma emergono insistenti Interrogativi e pressanti aspettative quando si percepisce un rapporto talvolta non costruttivo né in sintonia con il Vangelo fra comunità ecclesiali, gruppi, mo­vimenti  e questa “terra di Samaria”.

Non ci accorgiamo che le “cose all’interno”, per le quali spendiamo la maggioranza delle nostre energie, non rie­scono più a suscitare stupore e interesse, ricerca e adesione nei riguardi di Gesù?

Ci si tiene lontani per paura di ciò che accade e si richiede in “terra di Samaria”? Si preferiscono la co­moda sicurezza e il gradevole tepore del proprio ambiente, contenti tutt’al più di osservare da lontano quanto succede fuori?

Forse perché stanchi, delusi, non considerati, né cercati si rimane arroccati in atteggiamenti di dura critica nei riguardi della “gente di Samaria”, la quale, preoccupata dei tanti pro­blemi contingenti, non avverte il bisogno di recarsi al “pozzo” della comunità?

Perché si stenta ad esprimere stili ecclesiali basati su con­sapevole e matura corresponsabilità, su metodologie di pre­senza nel mondo autenticamente laicali e missionarie?

Il risultato è una pastorale attrezzata per la formazione di cristiani ad “uso interno”, pensati, di fatto, per una ministerialità laicale da vivere prevalentemente nella ri­tualità e nel tempio, in una sorta di oasi tranquilla ove dimenti­care la quotidianità.

Ogni qualvolta la chiesa e i cristiani hanno scelto strategie di colli­sioni, di collusione e di indifferenza nei confronti del mondo hanno pagato un caro prezzo.

13. “Il pozzo di Giacobbe in Samaria” è una scommessa pastorale della nostra chiesa . Nella scelta di Gesù che “deve attraversare la Sa­maria” e nel suo modo di stare al pozzo troviamo un’audace consegna di rin­novamento pastorale e parrocchiale.

Come non sentire venir meno le nostre sicurezze pastorali riposte nelle “cisterne” costruite in tempi di abbondanti provvi­ste, ma che ormai manifestano crepe profonde?

Le nostre chiese, i nostri saloni, i nostri gruppi non sono gli unici pozzi e sarebbe tragico pen­sarlo. Ci sono altri pozzi nella nostra terra di Samaria, che dobbiamo conoscere, presso i quali aspettare, in­con­trarsi, ascoltare e narrare la gioia e la fatica del vivere e del credere in Gesù. La comunicazione della fede agli uomini di oggi ripartirà da questi pozzi se i cri­stiani avranno ancora fede e ar­dore missionario di raggiun­gerli.

Ad ogni realtà ecclesiale, nella piena valorizzazione di vocazioni e ministeri, è richiesta una scommessa convinta e corale che in Gesù, guida attraverso la Samaria, ri­troveremo vitalità, freschezza, novità. Nella ricerca dei nuovi pozzi nel mondo di oggi, sentendo in noi quella “sete” del Cristo, si illumina e si carat­terizza il cammino della nostra Chiesa diocesana, già da alcuni anni impegnata nel campo vasto ed esigente della formazione in prospettiva missionaria.

Per rinnovare la parrocchia, tutti ce ne rendiamo conto,  occorre ripensare la pastorale per renderla idonea a formare cristiani capaci di frequentare la “terra di Samaria”, di cogliere la cultura di oggi come luogo posi­tivo d’incontro, di domande talvolta inquietanti, di scelte, di lotta per la legalità e la giustizia, di desiderio di autenticità e di cambiamento, di ricerca profonda di Dio. Occorre progettare tutto per suscitare nuove forme di autentica ministerialità laicale.

I cristiani che abitualmente si ritrovano nell’assemblea fe­stiva e gli operatori pastorali percorrono una via maestra di formazione: nella celebrazione del Mistero di Cristo durante l’Anno Liturgico, fanno l’esperienza personale di Cristo, con­templano e imparano la sua sollecitudine per questo mondo, assumono il suo sguardo di sano ottimismo e di speranza.

14 . “Il pozzo di Giacobbe in Samaria” è istanza di formazione. Ripensare il nostro agire ecclesiale nella prospettiva missionaria ed estroversa mette in crisi la pastorale nelle sue dimensioni costituite. Mentre si aprono orizzonti di rinnovamento, cogliamo che una buona e critica preparazione integrale (umana, culturale, teologica, spirituale, pastorale) diviene giorno dopo giorno più urgente nella prospettiva dell’incontro e del dialogo con il mondo di oggi.

Dare alla pastorale come obiettivo prioritario la formazione ad una vita cristiana così intesa significa ripensarla a partire da particolari istanze colte nella stessa “terra di Samaria”. Nel progettare e nel condurre il cammino di fede della comunità eucaristica e degli operatori pastorali è necessario fare atten­zione ad alcune esigenze che chiamano in causa soprattutto relazioni interpersonali, linguaggi, contenuti, metodologie.

a. Concretezza. La “terra di Samaria” vuole essere acco­stata, letta e compresa nella sua realtà. È gelosa del proprio ruolo di protagonista, nella totalità, imprevedibilità e comples­sità del suo farsi e modificarsi. Vi si incontrano eventi che inter­pellano, emergenze che esplodono, potenzialità di bene inaudite. Non accetta risposte teoriche, né letture preordinate d’ordine sociologico, né tanto meno religioso. Rimane ammi­rata dinanzi a credenti, uomini e donne di carne e ossa, che riescono a “gioire” e “piangere” con chi gioisce e con chi sof­fre.

b. Essenzialità. Nell’attraversare la “terra di Samaria” non ci si può portare tutto dietro. Si è obbligati a scegliere ciò che veramente è necessario, utile, secondario. Alla luce di questo criterio potremmo concludere che, molto di ciò che si fa ed è utile per la vita interna della comunità cristiana sulla strada, non serve. È importante svelare le ricadute esistenziali e i nuovi orizzonti etici di umanizzazione, cui apre un’autentica esperienza di fede. L’uomo contemporaneo esige cogliere quale ricchezza di umanità, di relazionalità, di atteggiamenti, di gusto di vivere apporta il seguire Cristo Salvatore.

c. Ricerca. Incontrare l’uomo sulla strada della semplice umanità, ricca o povera che sia. Presentarsi uomini accanto ad altri uomini, senza nascondersi dietro la corazza di appar­tenenze di vario genere, senza barare nel gioco della vita con soluzioni provenienti dall’esterno o prese in prestito da chi conta. La “terra di Samaria” mal sopporta persone troppo sicure delle loro conclusioni. Gradisce uomini che osano pensare, che accettano la sfida a mettere in discussione le proprie cer­tezze religiose morali, che gestiscono con dignità e coraggio la povertà delle loro risposte, soprattutto di fronte al mistero della vita e della morte, del dolore e della sofferenza, della Tra­scendenza e del silenzio di Dio. È il percorso tipicamente umano, pericoloso ed affascinante, del camminare sulle onde incerte della ricerca, per sa­per cogliere la verità nei frammenti, dell’attendere finché il valore morale contemplato nella sua esigente chiarezza possa mettere radici e germogliare fino a dare il frutto possibile.

d. Flessibilità. La strada è il luogo ove abita il nuovo, irripetibile e imprevedibile. Anche nei rapidi e profondi cambia­menti la persona umana rimane al centro, nella sua assoluta unicità. Tutti i percorsi formativi, quelli per la comunità della domenica, per gli operatori pastorali, per i battezzati non praticanti,  non possono essere confezionati su contenuti e metodologie standardizzati, sempre gli stessi e uguali per tutti. Gradualità e flessibilità nella formazione non è questione semplicemente di quantità di cose e di tempo, ma principal­mente di qualità della proposta formativa e della capacità di quanti collaborano per attuarla. Grande impegno ci viene richiesto prioritariamente per la for­mazione a tutti i livelli degli operatori pastorali, ministri ordinati, consacrati e laici. Ci sono richieste accresciute e sperimentate abilità a leggere ciò che accade in “terra di Samaria” e a ge­stire il bagaglio di conoscenze e di strategie pastorali a misura dell’unicità dell’interlocutore. Ulteriori e più decisi sforzi vo­gliamo compiere nell’acquisire competenze valide che toc­cano in modo particolare il piano del linguaggio, dell’adatta­bilità alle situazioni, del dialogo e dell’accompagnamento personale.

Le Famiglie

Un “pozzo” da raggiungere nell’anno 2003-2004

Per costruire il futuro della parrocchia e della pastorale occorre una prospettiva missionaria, cioè “vedere oltre” le nostre comunità abituali.

Fra i tanti “pozzi” esistenti scegliamo le famiglie, perché nel loro vissuto quotidiano ritroviamo le dimensioni e le realtà sociali.

Le famiglie ci obbligano a ripensare la pastorale con criteri di concretezza, essenzialità, gradualità. 

Al “pozzo” delle Famiglie per…

Incontrare ciascuna dove vive e manifestarle la sollecitudine della comunità cristiana.

Ascoltare con discrezione problemi e angosce, gioie e speranze.

Sostenere la ricerca di soluzione ad eventuali difficoltà.

Promuovere interesse per Gesù a partire da aspetti concreti del vissuto.

Ci proponiamo di assumere l’ accompagnamento delle famiglie come priorità.

Le nostre parrocchie divengano sempre più luoghi di ascolto e di sostegno delle famiglie in difficoltà, avendo ben chiaro che la l’amore fraterno e la misericordia rimangono la medicina efficace.

Occorre riuscire a stabilire, da parte delle comunità cristiane, attraverso i presbiteri, i religiosi e gli operatori pastorali, rapporti personali con ogni famiglia – sia che frequenti la Chiesa sia che non la incontri mai – in un tessuto relazionale nuovo e capillare .

L’Acqua viva sorgente zampillante. L’esperienza di fede e di formazione come laboratori del rinnovamento

15. Un esordio paradossale: colui che può dare l’Acqua di vita chiede da bere ad una Donna e per di più Sa­maritana. Con un semplice dammi da bere (v. 7) provoca un sorpren­dente cammino gestito con l’arte di perspicace regista e sostenuto dalla saggezza di fine maestro. Lungo il percorso non mancano il gioco sui fraintendimenti, i colpi di scena, le sovrapposizioni delle immagini, le immersioni in nuove consa­pevolezze.

Attraverso la tensione fra rivelazione e incomprensione, si giunge al multiforme dono dell’Acqua viva , che non sgorga dalla “cisterna” cercata dalla Donna, ma da Gesù (v. 11).

L’Acqua viva è la conoscenza del Padre che, attraverso Gesù e l’opera dello Spirito, il credente accoglie in sé. È l’accoglienza della verità di Cristo e di se stessi. È l’esistenza animata dall’adorazione in Spirito e Verità. È l’esperienza di fede alimentata nella comunità cristiana.

Quest’Acqua viva, che sgorga dal Cristo, nella vita del credente esprime sorprendente creatività, divenendo sorgente che zampilla per la vita eterna (v.14).

16. Quella Donna Samaritana, che sotto il sole di mezzogiorno va al pozzo ad attingere, esprime un’immagine della comunità cristiana, che si reca all’ Assemblea liturgica dove Cristo l’attende.

Recuperare la centralità della parrocchia, rileggendone la funzione storica concreta a partire dal “Giorno del Signore” e dall’Eucaristia, è via completa di formazione e di rinnovamento.

La liturgia rimane “via e scuola” principale di ogni crescita e formazione nella fede, per accogliere in sé l’Acqua che zampilla per la vita eterna. I segni della liturgia, come brocca consegnata dal Maestro, permettono di attingere alle profondità della Sorgente.

Di domenica in domenica i cristiani si radunano per fare memoria della Pasqua di Cristo nei segni della liturgia e sono coinvolti in un processo di conversione che li abilita ad offrire il culto in spirito e verità (v. 23). Non offrono le cose, ma la propria esistenza come “sacrificio spirituale gradito a Dio per mezzo di Gesù Cristo” (1Pt 2,5).

Nella liturgia il linguaggio della vita quotidiana, i segni essenziali, come pane e acqua, olio e vino, i gesti e le parole, le vicende lieti e tristi, per la Parola proclamata nella potenza dello Spirito Santo, squarciano gli occhi dei credenti e svelano il mistero straordinario di Dio che parla e agisce nella storia umana, per renderla Storia di Salvezza.

Si esce dalla celebrazione della liturgia, per trasformare la vita quotidiana in liturgia.

17. Il dialogo per l’Acqua fra Gesù e la Samaritana offre interessanti spunti per la verifica . Entrambi si ritrovano nello stesso luogo. Uguale è la sete che affligge il Viandante e la Donna. Diversa è l’acqua alla quale l’Uno e l’Altra fanno riferimento. Per potersi intendere percorrono insieme un cammino esigente, schietto e coinvolgente.

Alla luce di queste premesse diamo uno sguardo ad alcuni modi inadeguati di vivere l’esperienza dell’Acqua viva, per coglierne ragioni e conseguenze, senza smarrire la prospettiva missionaria.

La sacramentalizzazione rimane obiettivo prevalente di tutta la pastorale. Ma la maggioranza della nostra gente coglie il dono di salvezza espresso nei segni sacramentali? Li chiede perché li riconosce fondamentali nella propria vita?

La religiosità è coltivata prevalentemente nell’aspetto rituale e devozionistico . Si fa fatica a risanare la vistosa frattura tra vissuto quotidiano e celebrazione.

C’è un “consumo di sacro” per rispondere ad esigenze immediate che non trovano risposta da parte di altre agenzie. C’è una ricerca di gratificazione soggettiva e attesa miracolistica. Una religiosità “fai da te” , senza radicamento nella Verità, senza appartenenza, senza impegni definitivi, che talvolta si esprime con l’attaccamento a tradizioni religiose le quali non hanno più il sottofondo cri­stiano del passato che le giustificava.

C’è un’identità cristiana evanescente, caratterizzata da soggettivismo . Chi aderisce alla fede non sempre accetta tutta la morale che da essa scaturisce. Nel presentare la proposta della morale cristiana ci si trova talvolta spiazzati, sia nei contenuti come nel rivestimento culturale. Anche la grande area dell’etica, fiore all’occhiello di ogni autentica cultura che promuove umanità, sembra bloccata su scelte di corto respiro, senza radici né prospettive.

I modi inadeguati di vivere l’esperienza dell’Acqua viva chiamano in causa e spesso mettono in crisi gli itinerari formativi sin dai loro presupposti e fondamenti.

18. Per comunicare il Vangelo in un mondo già molto cambiato e in veloce trasformazione occorre rivedere, riqualificare, inventare il nostro universo comunicativo, che non coincide con gli strumenti della comunicazione.

Solo a partire da una buona qualità di rapporti umani sarà possibile far risuonare nei nostri interlocutori l’annunzio del Vangelo.

Tutti ci rendiamo conto quanto sia urgente, anzitutto per gli operatori pastorali, una formazione alla comunicazione , per acquisire quello stile che Gesù adotta con la Samaritana.

Egli si rivela l’artista dell’incontro personale e della comunicazione. Già con le prime parole crea una piat­taforma comunicativa, libera da  pregiudizi, fondata sulla rispettosa relazione interpersonale, aperta all’aiuto vicendevole. Chiede un po’ d’acqua, condivide il bisogno, si fa povero che chiede, riconosce all’Altra la capacità di dare.

Per Gesù la persona rimane sempre più grande dei  giudizi  e va incontrata al di fuori dei pregiudizi. Per questo il suo modo di fare stupisce, scandalizza, fa centro (v. 9; 27).

Il suo linguaggio è immediato, concreto, significa­tivo, per­ché non parla per sentito dire né per dovere di stato, ma confeziona le parole sulla misura data dall’ascolto. L’ascolto che sa cogliere biso­gni, stati d’animo, dubbi, ricerche proprie e al­trui, è il grembo della parola buona ed efficace.

La buona comunicazione entra nella vita, in essa “zampilla” e trabocca. “Dammi da bere” si estende in “Venite a vedere” e sfocia in “Noi crediamo che Lui è il salvatore del mondo” (v. 7; 29; 42).

Se dinanzi alla Samaritana Gesù avesse esordito dicendo “ Io sono il Messia che voi aspettate” , il dialogo come si sarebbe svolto? Perché invece nella pastorale si incomincia solitamente dalla fine? La fatica di ascoltare persino discorsi non rifiniti, disapprovazione, conte­stazione, inquietudini, lungaggini vale più del parlarsi addosso.

19. Per riscoprirla nella propria vita e per accompagnare altri all’Acqua viva è necessaria un‘adeguata formazione liturgica .

Il coinvolgimento esistenziale nella esperienza di fede che si compie nella liturgia celebrata dalla comunità cristiana è possibile solo riscoprendo il senso del celebrare e percorrendo un’adeguata iniziazione all’universo dei segni della liturgia.

È in gioco la formazione a leggere tutta la realtà con gli occhi dell’uomo della Bibbia, il quale negli eventi, nelle persone, nelle cose, nelle religioni, nella saggezza popolare, vede oltre quello che appare e vi scorge la pre­senza di Dio che guida la storia.

È necessario accrescere la capacità di leggere in chiave “sacramentale” l’esistenza umana. Il linguaggio, segni e gesti, il frutto della terra e del lavoro dell’uomo, visti e vissuti nella quotidianità, sono colmati di novità salvifica e svelati nella loro pienezza dalla Parola e dallo Spirito del Risorto.

Occorre un’adeguata formazione liturgica a tutti i livelli, per servire un’assemblea che viene dalla “Samaria” e alla “Samaria” deve ritor­nare per portarvi l’esperienza dell’Acqua viva.

20 . Seppure consapevoli e mossi della medesima sete, tuttavia per condividere il cammino verso la sorgente, occorre concordare il tragitto. Saper ridestare l’interesse e progettare cammini formativi è banco di prova per gli operatori pastorali come per ogni educatore.

Sono molte le circostanze per le quali tante persone tornano ad accostarsi alla Chiesa, anche se saltuaria­mente e dopo un’assenza più o meno lunga. Vi ritornano per chiedere i sacramenti o perché coinvolti in circostanze lieti o tristi.

Queste occasioni vanno trasformate in personali esperienze di evangelizzazione. La presenza in Chiesa o la semplice richiesta di un servizio, infatti, non sempre è sinonimo di fede.

Qui si aprono prospettive inusuali dinanzi alle quali talvolta si rimane pensosi e preoccupati per la carenza di idee, esperienze e risorse. Occorrono intelligenza, creatività, coraggio.

In questi cammini di evangelizzazione e di iniziazione alla fede l’accoglienza e i linguaggi, le mete e i tempi, i contenuti e le moda­lità dovrebbero essere modulati secondo la capacità di ricezione e la sensibilità di ciascuno.

Non si richiede di partire da zero o di creare dal nulla, perché a questa finalità di maturità della fede, avendo considerazione delle diverse età, tende il Progetto Catechistico Italiano. Va riproposto con fedeltà e decisione nelle nostre comunità, orientandolo esplicitamente nella prospettiva dell’evangelizzazione.

L’operatore pastorale non può contare semplicemente sui contenuti ap­presi, senza mettere in campo tutto se stesso per saper incontrare in una relazione serena e umana chi varca la soglia della comunità. È chiamato, per vocazione e non per tatticismo, a valorizzare ogni occasione e cir­costanza, a trovare per “questa persona concreta” l’itinerario appropriato.

Il cammino in questa direzione è lungo ed esigente, ma ne vale la pena perseverare, e impegna tutti a promuovere negli operatori pastorali, ministri ordinati, consacrati e laici, un buon bagaglio di virtù umane, di conoscenze antropologiche e teologiche aggiornate, di competenze progettuali.

Le Nuove Generazioni

Un “pozzo” da raggiungere

nell’anno 2004-2005

L’acqua viva si attinge a Cristo presente nei segni della liturgia. L’esperienza di fede e gli itinerari di formazione sono i laboratori del rinnovamento.

Privilegiamo il “pozzo” dei Giovani, perché essi ci obbligano alla coerenza, alla flessibilità, alla ricerca, alla novità. Ci aiutano a ripensare tutti gli aspetti della comunicazione della fede.

Al “pozzo” delle Nuove Generazioni per…

Stare con loro nei loro luoghi e nei loro tempi con discrezione e simpatia.

Condividere il gusto per le cose belle, la sofferenza per vicende particolari, la fatica nelle difficoltà.

Testimoniare con semplicità le convinzioni, i valori,  la fede che animano la propria vita.

Offrire la disponibilità all’ascolto libero e serio

Promuovere la riflessione, il confronto, il dialogo circa questioni di fondo sulla vita, Dio, il mondo.

Siamo chiamati a una grande attenzione e a un grande amore nei confronti delle nuove generazioni.

A loro vanno trasmessi il gusto per la preghiera e per la liturgia e la capacità di leggere il mondo nella la riflessione e il dialogo con ogni persona.

Occorre creare laboratori della fede , in cui i giovani crescano e diventino testimoni della Buona Notizia.

Occorre impegnarsi perché scuola università siano luoghi di piena umanizzazione aperta alla dimensione religiosa, sostenere i giovani nel delicato passaggio al mondo del lavoro , aiutare a dare senso al loro tempo libero .Dobbiamo aiutare ciascuno a discernere la «forma di vita» in cui vivere la sequela del Signore Gesù.

La brocca al pozzo per ritornare in città. Presenze di servizio e di evangelizzazione nel territorio come vie del rinnovamento

21. Senza indugio la Donna lascia la brocca e corre in città per dire alla gente: “Venite a ve­dere un uomo che mi ha detto tutto quello che ho fatto. Che sia forse il Messia?” (v. 28-29). Il suo vissuto personale pesante, vecchio ed umiliante, adesso riletto in Gesù diventa apertura missionaria e presupposto di evangelizzazione.

Va a dire alla gente in città, dalla quale prima fuggiva, di aver trovato un Uomo straordinario, il quale, pur  dicendole tutto  quello  che  lei  aveva  fatto,  l’ha  rispettata come nessuno mai. Questa esperienza tanto forte le permette di pagare di persona la verità che annunzia. Adesso, è più importante dire cosa ha realizzato Gesù in lei e non più ciò che lei aveva fatto nella sua vita.

La Samaritana ha imparato molto bene come provocare negli altri il desiderio di “recarsi al pozzo”. Non è gelosa del suo rapporto con Gesù, non impone cer­tezze né dà risposte a domande non fatte. Interpella e responsabilizza: “Non sarà forse lui il Messia?”Invita a fare una esperienza personale: “Venite a vedere”.

22. Dall’ascolto delle parole della Donna scaturisce per i Samaritani un cammino a tappe. Inizialmente credono in Gesù per le parole testimoniate dalla Donna e s’incamminano verso di lui. Trovatolo, lo pregano di restare con loro. Egli si ferma due giorni (v. 39-40). Le parole della Donna hanno fatto il loro corso e devono lasciare spazio all’incontro perso­nale con Gesù.

È il momento della prova dell’efficacia e dell’autenticità di ogni processo educativo e di crescita. Ogni autentico testimone ed educatore, sa che la sua presenza e la sua opera è realtà “penultima”. È consapevole di essere servo della Verità che sta “oltre”. Con umiltà e gioia accetta di essere “su­perato”, anzi per questo ha operato, perché la Fonte e la Meta stanno “altrove”. Non tiene legato a sé chi riceve il suo aiuto o chi lo ascolta, perché un Altro è il Salvatore.

Adesso, “molti di più” Sa­maritani giungono a credere in Gesù, per averlo sentito parlare. Non credono più per le parole della Samaritana, ma per esperienza personale sanno che egli è il Salva­tore del mondo (v. 41-42).

23 . Come un testimone la brocca scandisce le tappe della vicenda. Apre il cammino della Samaritana verso il pozzo. Sta fra le sue mani durante la disputa sulla capacità di Gesù di darle acqua. Assiste mentre la Donna confessa il suo vissuto e i suoi interrogativi religiosi e morali. Segna il momento decisivo del suo incontro con il Cristo. Apre il suo cammino di ritorno in città.

Nel frattempo la brocca è lasciata ai piedi di Gesù al pozzo: pegno di un ritorno sollecito, memoria di un incontro che va ripe­tuto, promessa di una conoscenza che va approfondita, augurio di una relazione vitale che non ammette in­terruzioni, profezia di nuove presenze e di nuovi incontri.

Assiste all’arrivo numeroso di Samaritani desiderosi di vedere, di sentire, di conoscere. Attesta finalmente la corale professione di fede di quanti credono in Gesù Salvatore del mondo.

24 . Anche per la comunità cristiana e per il cristiano giunge il momento di lasciare la propria brocca e tornare in città ove testimoniare la vita nuova ricevuta dal Signore incontrato nella celebrazione liturgica. Questa straordi­naria vita­lità di fede delle nostre comunità non può rimanere privilegio esclusivo di pochi eletti ma va offerta a tutta la gente che vive sul terri­torio.

La parrocchia si fa carico del territorio , nel suo insieme di spazio abitato dall’uomo con tutti i sui problemi sociali e religiosi. Esso, prima così familiare alla comu­nità par­roc­chiale, non gravita più at­torno ad essa. Per diverse ragioni è divenuto lontano, scono­sciuto, fram­mentato. Dinanzi a questi nuovi scenari potrebbero sorgere preoccupazioni, scoraggiamenti, chiusure soprattutto quando si tratta di individuare e organizzare le risorse umane e pastorali da investire nei molteplici ambienti di vita.

Quali presenze dei cristiani nell’ambiente?

Come ri­vedere strutture, fun­zioni, ministeri  delle nostre comunità in vista di una più efficace distribuzione delle forze ministeriali?

Quali forme di evangelizzazione per i non praticanti? Quale attenzione per chi vive situazioni morali particolari?

25 . La parrocchia si fa carico del territorio anzitutto attraverso il molteplice servizio della carità , che le permette di far fruttificare il grande Amore ricevuto dal suo Signore.

Si fa carico, facendosi “prossimo” di quanti vivono i nuovi drammi in situazioni di vecchie e nuove povertà: l’emargina­zione del di­verso, la illega­lità, la droga, la vio­lenza, la cri­mi­nalità ma­fiosa, l’estorsione, l’usura, e quant’altro ferisce la dignità umana e il vivere civile.

Di fronte a questi mali essa si offre luogo ove si orga­nizza la speranza per resistere e sconfig­gerli, seguendo quella fantasia della carità, il cui ispiratore e regista è lo Spirito di Amore.

26 . La parrocchia manifesta la sua sollecitudine nei confronti del territorio, attraverso le tante forme di pastorale d’ambiente , la quale sarà tanto più efficace quanto più le parrocchie sapranno aprirsi alla collaborazione tra loro e ad un’azione concertata con associazioni, movimenti e gruppi, che esprimono la loro carica educativa soprattutto negli ambienti.

Ci stanno a cuore le sorti della nostra gente e delle nostre città, alle quali come cristiani vogliamo manifestare attenzione, solidarietà e disponibilità operosa.

Condividiamo la speranza con tanti giovani alla ricerca del primo impiego e con quei lavoratori che faticano a trovare punti di riferimento nella complessità e precarietà del mondo del lavoro .

Guardiamo con grande attenzione al mondo della scuola, dell’Università e della cultura con le sue molteplici espressioni. Vogliamo raggiungere il mondo della sofferenza e della salute nel quale vanno garantiti il rispetto della vita e a ciascuno le cure di cui necessita.

Vogliamo contribuire all’umanizzazione piena e vera socializzazione nell’ambito del tempo libero Sport e turismo . La stessa attività propriamente politica non la sentiamo estranea alla vocazione cristiana.

27 . La parrocchia prepara il futuro se si impegna nel primo annunzio della salvezza.

È giunto il momento di operare una inversione di marcia verso le “no­van­ta­nove pecore” che non conoscono l’ovile.

Sovente si tratta di persone che portano in sé ferite inferte dalle circostanze della vita o più semplicemente sono cristiani verso i quali non si è stati capaci di mostrare ascolto, interesse, simpatia, condivisione.

Chi “lascia la brocca” per ritornare in città, ove c’è sete di senso, di fiducia, di speranza?

È necessario ripartire dal primo annuncio, sul quale innestare un vero e proprio itinerario di iniziazione o di ripresa della loro vita cristiana. La terza nota pastorale sull’iniziazione cristiana offre un illuminante quadro di riferimento teorico e operativo.

Dobbiamo inoltre affrontare un inedito ed arricchente compito missionario: compiere la missione “ ad gentes” nelle nostre città, cioè evangelizzare persone condotte tra noi dalle migrazioni

28 . Dissetati dall’Acqua che zampilla in ciascuno, siamo ritornati in città, per compiere fra la nostra gente le opere dell’amore che ridestano l’interesse per la Vita, la Bellezza, la Gioia. Nei molteplici e vari ambienti abbiamo consegnato l’annunzio di Colui nel quale adorare il Padre in Spirito e Verità.

La brocca, memoria di quell’incontro e profezia di nuove presenze, ci richiama al pozzo.  Vi ritorniamo, non da soli, ma con i molti fratelli incontrati in città. Andiamo insieme a vedere Gesù, a stare con lui, ad ascoltare la sua parola. Spinti dalla Sorgente che zampilla in noi, lasciamo la brocca al pozzo e ritorniamo in città perché altri conoscano Gesù Salvatore del mondo .

14 Settembre 2003

Esaltazione della Santa Croce

                                                                               + Giovanni Marra

                                                                              Arcivescovo

Il territorio

“Pozzi” particolari da raggiungere

nell’anno 2005-2006

Le vie per rinnovare la parrocchia attraversano il territorio nella sua complessità. Bisogna “lasciare la brocca e tornare in città”, per compiervi il servizio della carità, per consegnarvi l’annunzio di Gesù Salvatore del mondo. Ai “pozzi” nel nostro territorio per…

Osservare con sguardo di fede e saper scorgere in essi risorse, povertà, potenzialità.

Collaborare nel cercare le cause di malesseri e povertà, e nel trovare soluzioni ai vari problemi.

Contribuire nella elaborazione e realizzazione di autentici progetti di sviluppo.

Promuovere cultura di legalità, corresponsabilità, partecipazione.

Progettare forme efficaci di cooperazione pastorale e più equa distribuzione delle risorse ministeriali.

Ipotizzare nuovi assetti all’attuale all’impianto pastorale e nuove presenze ministeriali.     

La pastorale d’ambiente richiede alle parrocchie di ripensare le forme di presenza e di missione e il loro rapporto con il territorio, aprendosi alla collaborazione tra parrocchie e a un’azione concertata con associazioni, movimenti e gruppi. Dove questa dimensione della pastorale eccede la parrocchia, sarà fondamentale il riferimento alla Chiesa diocesana.

I cristiani sono chiamati a farsi prossimi agli uomini e alle donne che vivono situazioni di frontiera: i malati e i sofferenti, i poveri, gli immigrati, le tante persone che faticano a trovare ragioni per vivere e sono sull’orlo della disperazione, le famiglie in crisi e in difficoltà materiale e spirituale. Ai credenti è chiesto di inventare nuove forme di solidarietà e di condivisione secondo una nuova fantasia della carità.