Giovanni Marra, “SUI SENTIERI DELLA SPERANZA”, Orientamenti pastorali per il triennio 2000 – 2003

1. Nel contesto del Grande Giubileo, abbiamo realizzato nei vicariati della diocesi la Missione 2000, dal tema: Viviamo la gioia di Cristo che libera.

Il notevole interesse e la numerosa partecipazione, favoriti dall’impegno dei parroci, degli operatori pastorali e di tanti laici, testimoniano ancora una volta la forte esigenza di mettersi in stato di missione, di essere evangelizzati per evangelizzare.

Incoraggiati dalle ricche risorse e fiduciosi nella vitalità delle nostre comunità, vogliamo proseguire sulla via dell’evangelizzazione.

In questa prospettiva abbiamo pensato questo programma pastorale, che è frutto delle riflessioni consegnate da Presbiteri, Religiosi, Laici, dai Consigli diocesani, e rese operative dal lavoro congiunto con i Vicari, i Responsabili di uffici pastorali diocesani, ed esperti invitati a collaborare.

Con rinnovata consapevolezza, intelligente corresponsabilità e generosa collaborazione vogliamo incamminarci tutti insieme Sui sentieri della Speranza

In cammino

2. In sintonia con gli orientamenti che la Conferenza Episcopale Italiana propone per il prossimo decennio, sentiamo ancora più forte l’esigenza della conversione ad una pastorale estroversa, rivolta all’esterno, a chi non viene in chiesa o vi ritorna in modo occasionale.

Prima delle iniziative e delle strutture è chiamata in causa la nostra fede.

Ogni slancio missionario sgorga, infatti, dall’acquisizione degli atteggiamenti e delle scelte del Padre misericordioso, desideroso che tutti possano partecipare, rivestiti di dignità e splendore, alla festa nella sua casa.

Radunati dal Padre al banchetto di festa per il Figlio risorto, impariamo la carità missionaria, notando il posto vuoto del fratello e contemplando sul volto del Padre l’anelito di riabbracciarlo.

Attorno alla Mensa accogliamo lo Spirito Santo, che ci abilita a correre incontro al fratello, affinché, accompagnato da noi che abbiamo il dono di conoscerne la Via, possa trovare la strada del ritorno.

La consapevolezza e la responsabilità di questa fede impegnano ciascuno, secondo la propria vocazione e la grazia ricevuta, a divenire testimone e missionario.

Esperti nell’Amore del Padre ed esternamente in nulla diversi dagli altri, saremo capaci di promuovere, con la nostra presenza e il nostro operare, il compiersi dell’annunzio nella storia. 
 


Sulla via di Emmaus

3. In prospettiva missionaria rileggiamo il cammino dei Discepoli di Emmaus (Lc 24,13-35), che ispira e scandisce la programmazione pastorale per il triennio 2000-2003.

Contempliamo ancora una volta questa pagina, che ha ispirato l’agire della nostra Chiesa, per arricchire il cammino di formazione e di evangelizzazione con particolare attenzione alla Famiglia, ai Giovani, alla Cultura e alle molteplici forme di povertà, antiche e nuove, valorizzando quelle risorse maturate nelle nostre comunità e non ancora pienamente espresse e valorizzate.

Sulla via di Emmaus, i nostri cuori si apriranno anzitutto alla lode del “Risorto Pellegrino” e alla gratitudine verso quanti hanno amato questa Chiesa, perché ci hanno consegnato ricca eredità di testimonianza evangelica e di santità profetica.

Lungo il percorso non smarriamo questa consapevolezza, soprattutto quando la vivezza del Vangelo ci chiamerà ad esigenti verifiche, conversione e responsabilità.

4. Accompagnati dal Risorto Pellegrino, sperimentiamo e facciamo nostro il suo stile missionario:

– correre incontro al fratello e farci suoi compagni di viaggio;

– ascoltarne sofferenze, dubbi, speranze e suscitare il desiderio di trovarvi un senso;

– cogliere nella vita e nella storia tutto ciò che nascostamente si riferisce a Cristo;

– aprire le Scritture, per avere occhi capaci di riconoscere il Signore;

– fare esperienza del Risorto presente nei sacramenti e condurre il fratello all’incontro con Lui;

– ritrovarsi in comunione con la comunità che professa la fede nel Crocifisso risuscitato;

– ritornare sulla strada e cominciare un nuovo cammino nella carità, dando ragione della propria speranza.

5. Gli orientamenti pastorali per il prossimo triennio ci riportano alle dimensioni fondamentali della vita cristiana e pastorale.

Senza perdere di vista l’unitarietà del cammino e le finalità missionarie, opereremo per potenziare una dimensione per anno, illuminati dalla rilettura dei principali documenti del Vaticano II:

– 2000-2001: anno della Parola di Dio, per leggere nelle Scritture e nella storia tutto ciò che si riferisce a Cristo. Il testo conciliare di riferimento sarà la Dei Verbum.

– 2001-2002: anno dell’Eucarestia e dei sacramenti, per saper celebrare e riconoscere il Risorto. Rileggeremo la Sacrosanctum Concilium.

– 2002-2003: anno della testimonianza della carità, per qualificare la nostra presenza nei vari ambienti. Faremo riferimento alla Gaudium et Spes.

In quello stesso giorno due di loro erano in cammino per un villaggio distante circa sette miglia da Gerusalemme, di nome Emmaus, 14e conversavano di tutto quello che era accaduto.15Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. 16Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo.

17Ed egli disse loro: “Che sono questi discorsi che state facendo fra voi durante il cammino?”. Si fermarono, col volto triste; 18uno di loro, di nome Clèopa, gli disse: “Tu solo sei così forestiero in Gerusalemme da non sapere ciò che vi è accaduto in questi giorni?”. 19Domandò: “Che cosa?”. Gli risposero: “Tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno, che fu profeta potente in opere e in parole, davanti a Dio e a tutto il popolo; 20come i sommi sacerdoti e i nostri capi lo hanno consegnato per farlo condannare a morte e poi l’hanno crocifisso. 21Noi speravamo che fosse lui a liberare Israele; con tutto ciò son passati tre giorni da quando queste cose sono accadute. 22Ma alcune donne, delle nostre, ci hanno sconvolti; recatesi al mattino al sepolcro 23e non avendo trovato il suo corpo, son venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo. 24Alcuni dei nostri sono andati al sepolcro e hanno trovato come avevan detto le donne, ma lui non l’hanno visto”.

25Ed egli disse loro: “Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti! 26Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?”. 27E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui.

28Quando furono vicini al villaggio dove erano diretti, egli fece come se dovesse andare più lontano. 29Ma essi insistettero: “Resta con noi perché si fa sera e il giorno già volge al declino”. Egli entrò per rimanere con loro. 30Quando fu a tavola con loro, prese il pane, disse la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. 31Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero. Ma lui sparì dalla loro vista.

32Ed essi si dissero l’un l’altro: “Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?”. 33E partirono senz’indugio e fecero ritorno a Gerusalemme, dove trovarono riuniti gli Undici e gli altri che erano con loro, 34i quali dicevano: “Davvero il Signore è risorto ed è apparso a Simone”. 35 Essi poi riferirono ciò che era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto nello spezzare il pane.
 


Discorrevano e discutevano

6. I Due di Emmaus abbandonano Gerusalemme. Nella crocifissione di Gesù Nazareno hanno visto oscurarsi l’orizzonte dell’ esistenza, infrangersi sogni, svilirsi entusiasmo, vanificarsi l’appartenenza alla comunità.

Gerusalemme è alle spalle, ma i loro cuori vi rimangono attaccati per tutto ciò che vi è accaduto (v.14). Nei loro animi si aggrovigliano rimpianti, delusioni, scetticismo. Riesaminano scene, protagonisti, discorsi e ne analizzano dettagli, intenzioni, significati (v.15). Discorrono e discutono per riempire il vuoto, che sentono grande e irreparabile.

In essi scorgiamo quanti hanno abbandonato la pratica della fede, ma che mai hanno cancellato il desiderio di volti amici, il gusto del bello, la nostalgia di Dio.

Anche in noi potrebbe sorgere la tentazione di fuggire quando, appesantiti dal lavoro e dall’insuccesso, sentendoci incompresi e tagliati fuori, prendiamo le distanze da tutto e da tutti, chiudendoci in uno scetticismo celato dal discorrere e discutere senza via di uscita. 
 


Gesù, avvicinatosi, li accompagnava

7. Il Pellegrino sconosciuto, compie il primo passo per rivelare il desiderio del Padre: ogni figlio possa sentire la sua paterna vicinanza e ritrovarsi in famiglia per far festa (Lc 15, 11-32).

In Gesù, Dio si fa vicino a tutti gli uomini, anzi, diviene uno di loro: li raggiunge sulle strade e ne condivide la fatica del cammino; rivela la sua tenerezza, facendosi umile compagno di viaggio; come esperto conoscitore dei percorsi umani, li conduce ad esplorarne bellezze, senso e possibilità; come guida lungimirante li accompagna passo passo verso la meta. Ma i Due viandanti non lo riconoscono ancora.

Farsi vicino, pellegrino, interlocutore, guida e amico di qualunque uomo è la missione e lo stile di Dio. La strada, il viandante, il farsi prossimo, il camminare accanto definiscono la via e la missione della chiesa di sempre. 
 


Che sono questi discorsi ?

8. Il Pellegrino sconosciuto bussa all’ attenzione dei Due, per farsi accogliere nella loro conversazione. Non ha fretta di rivelarsi né di suggerire ricette risolutive, ma desidera far cogliere il valore dei loro discorsi e delle loro parole, importanti anche per lui.

Non gli importa che i Due lo considerino straniero, disinformato dei fatti. Gli sta a cuore che i protagonisti si rendano conto del loro dramma e della loro ricerca. Chiede: Cosa sono questi discorsi che vi state facendo l’un l’altro lungo il cammino? (vv.15-18). Ascoltandone le risposte, in silenzio, li pone dinanzi alle personali reazioni che quei fatti hanno provocato in loro.

Il Pellegrino ci rivela la delicatezza con la quale Dio si accosta ad ogni uomo, il rispetto con cui ne provoca e ne ascolta la parola, la pazienza con la quale ne valorizza ogni tassello di esperienza, la cura con la quale lo proietta nel futuro. Da Lui impariamo gli atteggiamenti con cui accostare gli altri, il valore dell’ascolto e del dialogo, il coraggio di sostenere chiunque ricerchi una direzione nuova alla propria vita. 


Si fermarono col volto triste

9. Provocati dalla domanda del Pellegrino, i Due si immergono in una nuova consapevolezza: le loro certezze si squarciano, il silenzio li trafigge, il vuoto si dilata, la solitudine li avvolge.

Sono bloccati nel buio della notte (vv.16-17) come se rivivessero i momenti della morte di Colui che era l’”oggetto” del loro conversare.

Avvertono la tristezza di aver ucciso la speranza.

Hanno interpretato a modo loro la vicenda di Gesù, ripetendo un “vangelo” che non annunzia cose “belle” ma la cronaca della loro delusione

Hanno assolutizzato la loro conoscenza di Gesù, potente in opere e parole davanti a Dio e a tutto il popolo, al quale, però, non hanno riconosciuto la capacità di intervenire diversamente dalle loro attese (vv.18-24).

Presumevano di possedere Gesù e di essere al sicuro, ma hanno fanno la triste esperienza della loro precarietà.

10. Anche noi talvolta ci sentiamo bloccati nella tristezza. Come conservare la gioia, quando tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno non fa ardere il cuore, ci lascia sconvolti, certi della crocifissione ma disorientati dal sepolcro vuoto (v.22)?

Quando alla nostra gente, che rincorre risposte tangibili al proprio bisogno di sacro, non riusciamo a proporre un’esperienza di fede che tocchi la vita?

Come custodire la speranza, quando notiamo la sproporzione fra risorse investite e risultati ottenuti?

Forse non si è stati capaci di intercettare le domande profonde dell’animo umano, mentre profonde trasformazioni lentamente investivano il vivere quotidiano.

Ci si è preoccupati di trasmettere le verità di fede, trascurando di condurre all’incontro personale con Cristo.

L’annunzio si è esaurito nel prescrivere indicazioni morali, tralasciando di farne maturare nei cuori le motivazioni di fede.

Ci si è accontentati di un’appartenenza ecclesiale ridotta a ripetizione di riti religiosi, non facendone riscoprire l’evento di fede e i doni da essi veicolati.

Ci si è ritirati nel “tempio”, per non accettare di divenire “pellegrini sconosciuti” con gli uomini del nostro tempo.

Come avere entusiasmo nel pensare alla missione se le difficoltà e le esigenze all’interno della comunità assorbono tutta la nostra attenzione e sequestrano le migliori energie? 


11. I Due viandanti sono giunti al limite. Nella loro resa il Pellegrino sconosciuto si crea un varco attraverso il quale proietta dirompenti bagliori di inattese rivelazioni. Il suo richiamo, ottusi di mente e ritardati nel cuore(v.25), li scuote e li risveglia a nuova luce.

Da questo momento, la sapienza del Pellegrino, straniero ignorante (v.18) sovrasterà la loro presunta conoscenza di tutto ciò che riguarda Gesù Nazareno (v.19).

Chiede: Non era necessario il soffrire del Cristo? (v. 26).

Li tuffa in un paradosso dal quale imparano ad emergere per rinascere alla fede: la necessità del suo soffrire rivela l’assoluta libertà di donare tutto se stesso. In questo modo il Cristo compie la missione per la quale lo Spirito l’ha consacrato e inviato: portare il vangelo ai poveri, la libertà gli oppressi, la vista ai ciechi, la misericordia del Signore (Lc 4,18-19).

La passione del Cristo è via maestra e segno indelebile dell’amore (Lc 24,19). Per questo, le piaghe rimarranno impresse anche dopo la resurrezione a testimonianza dell’amore eterno, universale, irreversibile di Dio (Lc 24, 39).

12. Il Pellegrino sconosciuto rivela che la passione del Cristo non è un avvenimento per caso o un semplice incidente giudiziario, ma la filigrana di ogni pagina della Bibbia.

Cominciando da Mosè e dai Profeti spiega in tutte le Scritture ciò che a lui si riferisce (v.27).

La Parola di Dio espressa nell’Antico Testamento illumina gli eventi di Gerusalemme e da essi viene confermata. Fatti e parole, intimamente connessi, tendono al punto focale dal quale ricevono luce piena: la passione, morte e risurrezione di Cristo Gesù. Il Crocifisso Risorto è il compimento delle Scritture, la chiave per accedervi.

La sua interpretazione di tutto ciò che a Lui si riferisce nella storia, nella vita dei credenti, nelle Scritture è dono irrinunciabile. Senza l’annunzio della sua Pasqua tutto si vanifica (1Cor 15,14).

La sua Parola è fondamento e regola della fede, ne provoca e sostiene ogni cammino personale, ecclesiale e pastorale.

13. Il Pellegrino è presente nella Parola proclamata all’Assemblea. Alla luce della sua Pasqua, ci apre alla comprensione di tutte le Scritture.

La sua Parola è efficace: annunzia ciò che nella liturgia si compie ed è confermata dall’opera celebrata. Pregare, sperare, agire sono risposta a Dio che parla e accoglienza di ciò che egli opera.

La Liturgia della Parola , soprattutto della Messa, per il metodo di leggere la Bibbia e la dinamica dialogica, è modello di lettura delle Scritture.

Occorre riscoprire l’itinerario biblico, che il Lezionario propone nell’Anno Liturgico, per abilitare le nostre Assemblee a vivere questo dialogo. In questa formazione l’omelia ha un ruolo particolare.

Se consideriamo che molti ascoltano la Bibbia solo nelle celebrazioni, siamo sollecitati a ben curarle, affinché tutto sia idoneo ad esprimere la presenza del Risorto che parla a fratelli ed amici.

14. Con delicata carità ci chiediamo: la nostra gente giunge alla fede in risposta all’ evangelizzazione? Quanto è in grado di leggere la Bibbia come libro per la vita?

Vogliamo compiere ogni sforzo affinché ognuno riscopra nella Bibbia tutto ciò che si riferisce a Cristo, perché l’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Lui.

Ci rendiamo conto che va ripensato il ruolo della Parola di Dio nei percorsi di fede e che occorre rilanciare con decisione il Progetto Catechistico Italiano.

L’annunzio del Vangelo è fondamentale: suscita la fede; la ridesta in quanti si è spenta; la rinvigorisce negli indifferenti; la rinnova in quanti la vogliono approfondire; ne fa scoprire la radicalità ai ferventi.

Oggi è urgente ripartire dal primo annunzio della Salvezza. Esso provocherà il passaggio (Pasqua) dalla religiosità naturale e popolare alla fede biblica, dalla ritualità esteriore alla novità della vita cristiana, dall’individualismo all’ esperienza ecclesiale.

15. L’ascolto di Dio e l’ascolto dei fratelli si esigono reciprocamente e si sintonizzano nella carità.

L’ascolto vero della Parola non estranea dalle realtà della vita, anzi abilita a farne lettura sapienziale e profetico discernimento. Per questo ascolto, la comunità ha bisogno dell’apporto di tutte le vocazioni e di tutti i ministeri. Soprattutto i laici esprimono il suo essere nel e per il mondo.

L’annunzio è efficace se attuato nella carità, se va incontro alle domande esistenziali e culturali delle persone, se valorizza i semi di verità e di bene di cui sono portatrici.

Oggi occorre soprattutto una evangelizzazione capace di plasmare mentalità cristiana. E’ necessaria la presenza qualificata di cristiani nei luoghi della vita ordinaria: famiglia, scuola, comunicazione sociale, economia e lavoro, arte e spettacolo, sport e turismo, salute e malattia, emarginazione sociale.

16. Il Pellegrino sconosciuto fa come se dovesse andare più lontano (v.28). Il Risorto va oltre ogni attesa, educa a cercare al di là di ogni realizzazione, dilata gli orizzonti del tempo e dello spazio.

Accompagna i Due non solo da Gerusalemme ad Emmaus, ma dall’evento luttuoso all’evento della gloria, dalle Scritture “mute” alla rivelazione dell’amore, dalla delusione alla speranza. Li conduce attraverso il cammino della Pasqua.

I Due, attratti e affascinati dalla sua Parola, lo invocano insistentemente: Resta con noi. E Lui, lasciandosi vincere, entra per rimanere con loro (v.29). Interviene un capovolgimento di prospettiva: i Due non lo avrebbero ospitato se Lui non li avesse già accolti.

Il Pellegrino sconosciuto, ospite invocato, e i Due viandanti, radunati in casa, divengono icona della comunità cristiana.

17. Credere nel Risorto e invocarne la presenza è la prima opera da compiere, per riscoprirci Chiesa e partecipi della sua missione. Il nostro invocare la presenza del Signore ci sintonizza con la sua preghiera: Padre, siano perfetti nell’unità, perché il mondo creda che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me (Gv 17,21-23).

Cristo non si lascia comprendere senza la sua Chiesa e l’incontro con Lui passa attraverso il segno di due o tre riuniti nel suo nome (Mt 18,20). Questo ci chiama a grandi responsabilità personali e comunitarie.

Lo stile di vita e di accoglienza, il modo educare alla fede e di celebrare, di svolgere i ministeri all’interno e di stare fra le gente esprime e, talvolta, può offuscare la presenza del Signore. L’incontro con la comunità può condizionare il desiderio di cercare il Signore.

18. Nella casa di Emmaus, il Pellegrino sconosciuto stupisce ancora: preso il pane, pronuncia la benedizione e, spezzandolo, lo consegna a loro (v.30). Da invitato, diviene capofamiglia che presiede alla mensa. Trasforma il pane, frutto della terra e del lavoro dell’uomo, in Pane della Pasqua e dell’amore.

Mangiando questo Pane, i Due fanno un’esperienza decisiva: i loro cuori ardono; i loro occhi si aprono e lo riconoscono (v. 31).

Nella frazione del Pane vedono il compimento della Parola, che ha illuminato il cammino. Il memoriale della necessaria passione per entrare nella sua gloria (v. 26). Il sacramento di Cristo consegnato nelle mani del Padre, affinché tutti abbiano perdono e misericordia (Lc 23, 34. 46). Ma proprio adesso che il faticoso cammino sembra giunto al culmine, Lui diviene invisibile a loro (Lc 24,31).

19. Il Risorto scompare, per rivelarsi attraverso la Chiesa, suo sacramento. Ad essa consegna i segni della sua presenza, affinché lo celebri, lo riconosca, lo viva e lo offra ai credenti.

La Chiesa non può vivere senza liturgia, anche se non vive solo di essa e per essa. Questa consapevolezza è cresciuta nelle nostre comunità, ma ancora occorre evangelizzare il senso del celebrare.

Il futuro delle nostre comunità ci chiede di riscoprire: l’Assemblea, soggetto che celebra; il celebrare, per incontrare il Risorto che rinnova la vita; i sacramenti, doni pasquali; il Giorno del Signore, anima degli altri giorni; l’Anno Liturgico, il cammino della Chiesa.

Una via semplice e immediata di formazione liturgica è l’esperienza di celebrazioni nelle quali tutto fa cogliere e gustare il Mistero celebrato.

20. La situazione pastorale attuale ci chiede particolare attenzione verso gli itinerari in preparazione ai sacramenti, soprattutto per quei giovani e adulti che si riaccostano alla Chiesa dopo parecchio tempo.

Lo sappiamo bene che non si può partire dalla spiegazione del sacramento che chiedono o dalle istruzioni rituali. Molto spesso è prioritario far ritrovare il senso della loro richiesta e aiutarli a chiarirsi se vale la pena ri-cominciare un cammino di fede. Sovente, si tratta di scoprire per la prima volta Gesù Cristo, di una vera rifondazione della fede.

Questi itinerari di iniziazione alla fede e ai sacramenti coinvolgono tutta la comunità ed esigono catechisti-testimoni capaci di accompagnare i fratelli a riconoscere il Signore.

21. In quel giorno (v.13), il Pellegrino invisibile conduce i Due di Emmaus ad una percezione nuova della vita e del tempo.

Quel giorno rimarrà una pedagogia della speranza.

Giorno del Signore, perché il Pellegrino risorto si accosta agli uomini in cammino.

Giorno della Parola, perché apre le menti alla comprensione delle Scritture.

Giorno della Chiesa, perché raduna i fratelli in intima familiarità.

Giorno della Eucaristia, perché spezza e consegna il suo Pane.

Giorno della fede, perché si fa riconoscere nel gesto dell’amore.

Giorno della missione, perché si rende invisibile per rivelarsi nei i segni della comunità.

Quel giorno che volge al declino (v.29) segna l’attesa della sera della storia, quando si compirà nel Giorno senza tramonto.

Fra quel giorno della Pasqua e l’avvento finale del Signore c’è la Chiesa che, di Domenica in Domenica, annunzia, celebra e vive il trionfo di Cristo Signore.

22. I Due hanno seguito da Gerusalemme ad Emmaus il cammino di fede: gli occhi non sono più impediti, ma vedenti; le menti non ottuse, ma aperte; i cuori non ritardati, ma ardenti.

I loro discorsi sono divenuti Vangelo nel grembo delle Scritture. La loro preghiera è sfociata nell’intimità familiare. Il loro pane è stato trasformato in memoriale della Pasqua e in sacramento dell’amore.

Risollevati (risorti), in quella stessa ora, ritornano a Gerusalemme (v. 33).

23. I Due percorrono da Emmaus a Gerusalemme il cammino della comunione. Trovano gli Undici e gli altri che professano: “Davvero il Signore è stato risuscitato ed è apparso a Simone” (vv.33-34).

L’annunzio di ciò che avvenne sulla via e come Lo riconobbero nella frazione del Pane (v. 35) non aggiunge nulla alla fede della comunità, ma è necessario condividerlo, perché sia sostenuto e confermato dalla comunione. Si ritrovano concordi e perseveranti nell’insegnamento degli Apostoli, nella comunione, nella frazione del pane e nella preghiera (At 2,42).

24. Anche noi, accompagnati dal Pellegrino, che ci fa scoprire tutto ciò che si riferisce a Lui, che si fa riconoscere nella frazione del Pane, che fa ardere i nostri cuori, gioiamo della comunione, fonte della missione.

Arricchita di molteplici carismi, vocazioni, ministeri, la comunione ecclesiale è il presupposto, l’anima e il compimento della missione.

Il Vangelo non è proprietà privata e la missione non è opera di navigatori solitari, anzi, prima forma di missione è la comunione.

Soprattutto oggi che emergono vecchi e nuovi individualismi, senso di precarietà, di disgregazione, di fuga nel privato, Cristo Signore chiede ai cristiani (ministri ordinati, consacrati, laici, famiglie, parrocchie, associazioni, gruppi, movimenti…) la comunione come prima forma di evangelizzazione, di servizio e di carità.

25. La comunione è la forza che rimette in cammino sulle strade del mondo. Col cuore ardente di gioia per la Parola e il Pane della Pasqua, vogliamo essere viandanti, col dono della carità, sulle vie di Emmaus della nostra città, dei nostri quartieri, dei nostri centri, dei nostri paesi, per coltivare insieme ai fratelli le ragioni della speranza.

Con quali atteggiamenti e scelte testimoniano l’amore di Dio per ogni uomo e per questo mondo?

Quali gesti di carità toccano il cuore dell’uomo contemporaneo e lo aprono alla speranza?

26. Una comunità che ama è sempre in cammino. La storia, il territorio è la strada del suo pellegrinare, il luogo in cui proclamare la profezia del Regno ed esprimere il suo servizio. Se non vi riesce a scoprire il bene presente, si scontra, si arrocca e si ripiega su se stessa.

Sulla strada, senza pretendere di scegliersi la compagnia, sperimenta il valore dell’incontro e dell’accoglienza, impara a procedere al passo degli ultimi.

Sulla strada conosce le povertà vecchie e nuove, incontra il volto di quanti ricercano: pane, per soddisfare i bisogni materiali; Parola, per trovare risposte ai bisogni di senso; comunità, per appagare i bisogni di amore e di appartenenza.

Sulla strada, come i Due di Emmaus (v.13), riconosce le proprie delusioni, infedeltà, omissioni. Sente la fatica nell’educarsi alla carità e nel pensare i nomi nuovi della carità.

27. Sulla strada il Pellegrino ci raggiunge attraverso i poveri, suo sacramento. Ci accosta non per chiedere, ma per accompagnarci (v.15), per arricchirci. I diversi poveri, infatti, sono in grado di darci molto, di recarci il Vangelo, di condurci ad una più profonda comprensione ed esperienza del suo mistero di amore.

Il Risorto ci affida i poveri, suoi prediletti, come compagni di viaggio da preferire a chiunque altro.

Questa consapevolezza ci porta a cercare ogni tipo di povero come persona portatrice di valore e dignità, che merita di camminarci accanto, senza doversi scusare per la sua situazione. La carità libera dalla marginalità e promuove relazioni umanizzanti.

28. Una comunità obbediente alla carità si abilita a discorrere e discutere (v.15) alla luce del Vangelo eventi e problemi, sofferenze e attese della gente nel territorio. Non rimane indifferente dinanzi a questioni che toccano la dignità della vita, della persona, della famiglia, del vivere sociale.

I cristiani non possono essere così forestieri da ignorare ciò che accade nei nostri giorni (vv.18-21): violenza, omicidi, diritti negati, giustizia lenta, prepotenza dei forti, affossamento di progetti di sviluppo, mortificazione di risorse, smarrimento della speranza.

Nella valutazione di questi fenomeni, i poveri, che spesso ne sono vittime, hanno diritto di parola.

La carità ci spinge ai luoghi dove si studiano i problemi, si diffondo idee, si elaborano progetti attinenti alla vita e al futuro della gente e del territorio. La voce dei poveri non può mancare neppure quando sconvolge (v.22) assodate logiche e scelte consolidate.

29. Nell’amore di Dio la comunità ritrova il coraggio di raggiungere i mondi della sofferenza. Individua e cerca i tanti sofferenti ed emarginati, senza fretta e presunzione di dare, di dire, di giudicare.

Con delicatezza si accosta ad ognuno, per ascoltarne i racconti delle pene, della stanchezza, della ribellione, del desiderio di guarire e di essere liberati. Nelle parole e nella vita dei sofferenti ritrova ciò che si riferisce a Cristo (v.27) e il mistero del suo necessario soffrire per entrare nella sua gloria (v. 26).

In queste originali scritture, non su pergamene ma sui volti, sui corpi, nei cuori, contempla la Pasqua del Signore, alla luce della quale si interroga sulla sofferenza e si mobilita a cercarne possibili soluzioni.

30. Accanto agli Ultimi apprendiamo lo stile della carità delicata e discreta, che non tollera dipendenze, invadenze, ostentazioni.

Chi è provato da qualsiasi povertà fa come se dovessero andare più lontano (v. 28), per verificare se ha posto in noi e accanto a noi, nelle nostre liturgie e nelle nostre comunità. Ci aiuta ad individuare l’essenziale della vita e della fede, per esplorarne la gioia e i significati profondi.

La comunità cristiana ha bisogno di stare con i poveri (v.29). Mentre si costruisce casa comune, che anche il povero può abitare, educa i cristiani alle tante forme di ospitalità e di condivisione.

L’accoglienza e il pane che offriamo al povero ci vengono restituiti in benedizione, in gioia, in comunione (v.30). Quando i nostri occhi si aprono dinanzi al povero e, accogliendolo, condividiamo il pane, egli sparisce (v. 31). Rimane l’amore.

31. Vogliamo incamminarci insieme sui sentieri della Speranza. Ne sentiamo il bisogno, ne avvertiamo le difficoltà, ne sperimentiamo la gioia.

Per ciascuno di noi, secondo proprie responsabilità, e per ogni comunità, è un appello a rispondere alle esigenze della nuova evangelizzazione nel terzo millennio.

Siamo incoraggiati dalle notevoli energie spirituali, umane e materiali presenti nella nostra gente, e da tante persone che offrono preghiera e sofferenze per la nostra Chiesa.

Il Risorto Pellegrino si accosta e cammina con noi e fa ardere i nostri cuori con la sua promessa: Io sono con voi tutti i giorni (Mt 28,20).

8 Settembre 2000

+ Giovanni Marra

Arcivescovo