Giovedì Santo: “Uomini eucaristici”… sino alla fine

Questa sera, nella Messa In Coena Domini celebrata nella Cattedrale di Messina, l’Arcivescovo ha voluto rivolgere un particolare pensiero “ai confratelli nel Sacerdozio, ad ognuno di loro, del Clero regolare o secolare”. Il ricordo grato “per l’offerta dei sacrifici e del servizio ministeriale, vissuto tra le difficoltà del tempo presente, con le chiese vuote e la necessità di celebrare da soli”, si è unito alla consapevolezza “di essere stati capaci di raggiungere molte persone facendo uso dei Media, ma soprattutto di aprire il cuore al servizio dell’ascolto, della consolazione e dell’accompagnamento con opere di carità”.

In assenza della Messa Crismale, l’Arcivescovo ha desiderato ricordare nell’omelia di questo Giovedì Santo i tanti sacerdoti della Chiesa messinese che, nel corso di quest’anno, sono tornati alla casa del Padre, insieme a quelli deceduti in tutto il territorio italiano a motivo del Covid-19, alcuni dei quali hanno coronato l’offerta della loro vita sacerdotale con il sacrificio per salvare la vita di qualche persona più giovane. Un ricordo nella preghiera è stato chiesto, inoltre, per i presbiteri che celebrano quest’anno il loro Giubileo Sacerdotale.

Quindi Mons. Accolla ha esortato tutti i fedeli, chiamati ad essere “uomini eucaristici”, sul modello di Cristo che ha amato i suoi “sino alla fine” e per essi si è lasciato “spaccare il cuore” in un orizzonte universale, aperto a tutto il mondo e a tutti gli uomini, anche a quelli che vivono “nella solitudine più assoluta”, con un chiaro riferimento a coloro che, a causa della pandemia in corso, si trovano nel bisogno e nella sofferenza.

“Chiediamo al Signore – ha concluso l’Arcivescovo – di rinnovare la nostra vita: lasciamo che i nostri progetti siano sconvolti dal progetto d’amore di Dio su di noi. Accingiamoci a vivere la Pasqua subito, con i calzari ai piedi, i fianchi cinti. Siamo solleciti ad offrire il nostro agnello, siamo pronti per rimetterci in cammino, per uscire dalle nostre schiavitù”. È questa, infatti, l'”ora” in cui siamo chiamati ad amare, e a farlo “sino alla fine”.

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