Omelia nella Celebrazione Eucaristica in occasione della solennità di San Bartolo

24-08-2022

Solenne Pontificale in occasione della solennità di San Bartolomeo Apostolo

OMELIA DELL’ARCIVESCOVO MONS. GIOVANNI ACCOLLA

Cattedrale di Lipari, 24 agosto 2022

[Multimedia]

 

Reverendi canonici,
presbiteri, diaconi,
autorità civili e militari,
religiose e religiosi
fedeli tutti

mi sia permesso anzitutto rivolgere un saluto grato e riconoscente a ciascuno di voi in questo giorno in cui siamo riuniti per celebrare nella preghiera la solennità di San Bartolo.

Dopo due anni di pandemia ci ritroviamo a far festa e, venerando il Santo Patrono, guardiamo a Lui come esempio di uomo “retto e fedele”, uomo della coerenza senza falsità. “Ecco un vero Israelita in cui non c’è falsità” (Gv 1,….): così si esprime Gesù nel testo del Vangelo poc’anzi proclamato.

La pericolo evangelica presenta la figura di Natanaele come un uomo capace di un severo discernimento su se stesso, capace di rimettersi in gioco, cambiando persino le sue precomprensioni o i suoi pregiudizi, fino al punto di professare la fede in Gesù come Maestro, l’unigenito figlio di Dio e Messia.  “Gli replicò Natanaele: «Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d’Israele»” (Gv 1, 44).

Il testo sacro sembra sottolineare un salto di qualità nella coscienza di Natanaele: da incredulo e diffidente a credente; Natanaele è un convertito semplice, umile e pronto; è l’immagine vera del penitente.

Ed è proprio su questa immagine che vorrei richiamare l’attenzione di ognuno di noi.

Non si può far festa dinanzi a tutte le tragedie delle quali siamo quotidianamente informati dai media. C’è il rischio di una sindrome patologica di tristezza e di depressione.

L’uomo non si arrende, in ognuno di noi sembra forte il desiderio di “esorcizzare” il male, cosa buona e giusta; i tentativi ci stanno e realmente si avvertono.

Resta però fondamentale una domanda: come?

Qual è il cammino più sicuro per affrontare un percorso di liberazione, per vivere liberi da ogni male?

Due possibilità:

  1. Un modo mondano e inefficiente che si caratterizza attraverso le “fughe”.
  2. Un modo cosciente e impegnativo che si realizza attraverso “le assunzioni di responsabilità ”.

Non c’è libertà senza responsabilità.

Mi sembra che, tante volte, l’uomo del nostro tempo orienti le proprie scelte di comportamento personale e collettivo sull’onda dell’emotività: “faccio rumore e così non sento”, “mi distraggo e così nessuno mi può rinfacciare alcunché”, ”io non c’ero, non ho visto nulla, non mi sono accorto, non mi riguarda, ci devono pensare altri ……….”.

Bartolomeo (o Natanaele) ci rappresenta ben altro: egli è l’uomo che ci mette con sincerità e onestà la faccia, si rimette in gioco, riconosce l’identità di Gesù e oltre la faccia, con la sequela, offre la propria vita per il Signore, lo conosce o lo farà conoscere.

Egli, in ascolto, si mette in cammino con percorsi di comunione, di partecipazione e di apostolica missionarietà.

E’ un lettore della storia: la storia della salvezza e della redenzione, la storia delle fragilità del mondo e della storia.

Imitandone la testimonianza, anche noi, alla luce del percorso sinodale che il Santo Padre ci ha indicato siamo chiamati a un ascolto che ci consenta di essere attenti lettori della storia della salvezza e della storia del mondo contemporaneo, per essere annunciatori fedeli del Vangelo.

Natanaele: un convertito, un penitente, un uomo che sa ricominciare e sa seguire con audacia il Signore.

Quante famiglie, quanti giovani oggi possono ancora ricominciare, rimettersi in gioco con audacia, per cercare il Signore, riconoscerlo e seguirlo. Quant’è importante l’esperienza della penitenza e della conversione. La conversione non è ritornare sui propri passi, ma è la gioia di ripartire con tanta umiltà, coraggio  e forza.

Il penitente vero rinnova la propria vita e si offre per rinnovare la vita dei fratelli con l’annuncio del Vangelo.

Il Card. O’Malley, Arcivescovo di Boston, in suo libro intitolato “Cercasi amici e lavapiedi” racconta che Mons. Gerardi, Vescovo  ucciso e massacrato in Guatemala due giorni dopo aver presentato un rapporto sulle vittime della guerra in quel paese, era solito recarsi in Cattedrale per celebrare la Santa Messa. “Uscendo dalla Cattedrale, poco prima di attraversare la piazza, notava sempre un uomo di nome Santiago steso sulla panchina, sporco, malandato, coperto di vecchi giornali. Il poveraccio, che puzzava di alcool e aveva gli occhi iniettati di sangue, ogni volta si alzava per salutare il vescovo con grande affetto. Finché una volta, uscendo sulla piazza, il Vescovo rimase colpito nel notare l’assenza di Santiago. Passarono le settimane, finché un giorno incontra Santiago che passeggia per strada, e tuttavia prima non lo riconosce. Barba e capelli fatti, un abito pulito, scarpe nuove, e una Bibbia sottobraccio. “ Che cosa ti è successo?” fa il Vescovo. E Santiago: “Sono stato salvato!”. Il Vescovo si congratulò con lui e si accomiatò con un saluto.

Passò un altro mese e il Vescovo, uscendo di chiesa, rivide Santiago in condizioni deplorevoli, di nuovo buttato là sulla solita panchina. “Santiago, ma che è successo?” “Monsignore, sono tornato all’unica vera Madre Chiesa!”.

E ovviamente Santiago aveva ragione. La vera Chiesa è composta di peccatori. Il Buon Pastore dà la priorità, al vertice delle attività pastorali, alla pecorella smarrita”.

Riscoprirsi peccatori: antifona per la conversione.

La liturgia dell’Ufficio delle letture di ieri ci ha fatto dono di uno splendido testo di San Giovanni Crisostomo, che così si esprime: “Abbiamo indicato cinque vie di riconciliazione con Dio. La prima è la condanna dei propri peccati; la seconda è il perdono delle offese; la terza consiste nella preghiera; la quarta è l’elemosina e la quinta è l’umiltà”.

La condanna dei propri peccati è propedeutica all’instaurazione di rapporti edificanti anche verso il prossimo.  Chi si riconosce bisognoso di misericordia sarà capace di perdono. Le relazioni di “giudizio” si cambiano in relazioni di misericordia e di giustificazione. Perdonati si è capaci di perdonare.

Nel documento finale del primo momento del cammino sinodale sono emerse delle puntuali considerazioni circa la vita della nostra Chiesa che intendo qui richiamare.

Criticità:

  • La Chiesa è fatta oggi bersaglio di molte critiche: è ritenuta da molti una casta che trasmette una morale e una dottrina autoreferenziali, fatte di principi e norme, ma poco attente ai problemi delle persone (vasto campo della bioetica e della sessualità umana, progetto sacramentale del matrimonio e valore possibile di un clero sposato; partecipazione responsabile e non solo consultiva del laicato; promozione della donna anche a livello ministeriale ordinato; uso dei beni materiali esercitato a beneficio dei poveri, dei bisognosi e degli emarginati di ogni genere; radicamento nel territorio…).
  • Si lamenta da più parti la mancanza di ascolto da parte dei presbiteri, al di fuori della confessione; ciò può trovare giustificazione, in parte, nella carenza di sacerdoti e diaconi all’interno delle parrocchie.
  • Il clero, percepito dai fedeli in maniera verticistica, sembra preoccupato più alla gestione finanziaria amministrativa delle parrocchie – necessaria ma poco compresa dalla componente laicale delle comunità – che alla trasmissione della fede e vive spesso di autoreferenzialità.

Proposta:

  • Costruire una Chiesa più partecipativa, capace di dialogare con i giovani, le famiglie, gli ultimi, i poveri, le coppie separate e chi vive situazioni particolari di vita finora ritenute giuridicamente e moralmente “irregolari”.
condividi su